E’ il piatto della pace, dell’integrazione e della fratellanza: simboli, miti e leggende sul cous cous
Sì, possiamo dirlo, la provincia di Trapani è la terra del cous cous. Siamo proprio nel suo territorio; qui la semola ncucciata a mano è la regina della cucina, qui al cous cous si dedica un festival internazionale, dove gli si fa sposare tutto, dal pesce al cavolfiore, alla carne. Dove le verdure cercano il piccante, dove la terra incontra il mare, dove la famiglia si riunisce perché è festa, perché fare il cous cous è un rito, anche laborioso ma gioioso. Lo si fa assaggiare al vicinato, lo si porta a un parente, si conserva, perché scaldato è più buono e, bagnato “col brodo” o asciutto, soddisfa tutti palati.
Ci sembra molto importante ricordarlo, oggi che nel mondo le sopraffazioni, le violenze e le intolleranze si moltiplicano a vista d’occhio e i conflitti tendono sempre più a separare, dividere, calpestare la dignità, risolvendo e annullando, con la guerra, l’identità di un popolo.
Il cous cous è un piatto che simboleggia la convivialità, è il piatto che rappresenta l’unione di culture e si fa portavoce di pace, integrazione e fratellanza. La sua area di origine, in pieno mediterraneo, ha saputo “mettere d’accordo” diversi popoli diventando il “piatto della pace”, il piatto comune a religioni diverse come cristianesimo, islamismo ed ebraismo.
Ed eccola la mafaradda, meglio se è quella della mamma o della nonna, consumata dall’uso, una reliquia, un pezzo di famiglia! E ancora la couscussiera con i suoi buchi, ordinati, simmetrici, per consentire la rituale cottura a vapore della semola.
Già nell’atto dell’incocciare, nella sua preparazione si celebra il simbolo dell’unione. Nella tradizione si consumava attingendo con le mani dallo stesso contenitore, da buoni fratelli, riuniti nella mensa. Il suo ancestrale uso e consumo lo identifica come simbolo dello stare insieme, del condividere tanti importanti momenti della vita, come un matrimonio per esempio o la nascita di un figlio per giungere fin anche a tenere unita la famiglia in un momento di lutto. E’ simbolo di abbondanza e di fertilità perchè si consuma alla fine del digiuno.
Non possono mancare leggende intorno a un piatto di tale valenza sociale e civile. Si dice, secondo una leggenda, sia il piatto dell’amore. Si racconta, infatti, che re Salomone, innamorato della regina di Saba ma non corrisposto da lei, sia guarito dal mal d’amore e dalla sua inappetenza assaggiando il cous cous.
O ancora si racconta che una donna, mentre faceva il bagno venisse a sapere che la sabbia altro non era che l’insieme di granelli di semola che aveva perso una nave durante una tempesta e con questa si sfamò un intero popolo che visse, da allora, nell’abbondanza.
Oppure si narra che a Damasco un viaggiatore si fosse ammalato e non si riuscisse a trovare la cura giusta. Nel sogno del padrone della casa in cui era alloggiato, un erudito dei tempi, apparve il profeta Muhammad che consigliò di dargli da mangiare del cous cous. L’ammalato guarì e così il cous cous accrebbe la sua fama di piatto benefico a tutti gli effetti.
Leggende o meno, certo è che quando si parla di cous cous è festa, è famiglia, amicizia, gioia di stare insieme. Si sente già l’inconfondibile profumo della semola che sbuffa nel suo lento cuocere. Si pregusta l’effluvio inebriante del sughetto che borbotta nella capiente pentola e che accompagnerà questo piatto speciale regalando il piacere dello stare insieme, in pace, in armonia. Intanto numerosi e gioiosi, i commensali si accingono a dargli il ben “servito”!