“A naca”, la culla sospesa sul letto delle nostre nonne. Storia e modi di dire in dialetto siciliano
“Annàcati” oppure ” ‘un t’annacàri” o ancora “chi caristi da nàca?”, sono espressioni che ci inducono al sorriso e richiamano immagini e situazioni familiari che tendono a scomparire. Sono modi di dire tutti derivati dal sostantivo “nàca”, termine che in Sicilia indicava la culla in cui si mettevano a dormire i bambini appena nati. Era un tipo di culla molto diffusa, soprattutto nelle società agropastorali.
Era costituita da un panno piuttosto rudimentale sul fondo del quale veniva posto un vello di pecora o di montone per tenere caldo il neonato e veniva sospesa per aria, sopra il letto matrimoniale, attaccata con sicurezza, come un grosso fazzoletto, per i quattro angoli, alle travi del soffitto. Le più sofisticate “nache” erano dotate di una cordicella che pendeva verso la mamma, utile per dare il via al movimento “cullante” del neonato.
L’origine del termine sembra sia da attribuire al greco antico, nake, pelle di pecora, anche se un’altra ipotesi la fa derivare dall’arabo, dove esisteva nake che indicava un ciondolo e i cui movimenti, ondulatori e oscillatori, sono stati individuati in questa primordiale culla.
Ogni famiglia la costruiva con il materiale che aveva a disposizione; vari i modelli nelle varie regioni italiane: in vimini o in sughero, in legno o semplicemente in stoffa e sopesa come in Sicilia. Diversi gli sviluppi successivi; così la naca si è adeguata alle esigenze e alle “tasche” delle famiglie. Scese dal soffitto e si poggiò per terra e nacquero le culle, corredate di rotelle o a dondolo e poi veri e propri lettini.
Il caro termine nàca non sfuggì alla creatività e alla capacità di un dialetto, come il siciliano, di muoversi, intrufolarsi, innestarsi, di cambiare come un camaleonte vestendosi ora di ironia, ora di sarcasmo, ora di sfottò e di tanto altro anche, solo, spostando l’accento da una sillaba all’altra. Oppure diventare verbo, transitivo, riflessivo: tutto fare insomma!
E così, oltre ad attribuire il termine nàca a chi non è mai abbastanza cresciuto, oppure dire a qualcuno che è caduto dalla naca, con sfumature sottili a seconda del contesto e del tono con cui si pronunciano le parole, dire annacàre è tenere qualcuno o qualcosa in sospeso, mentre annacàrsi è perdere tempo ma quando diventa un ordine allora è un invito a sbrigarsi, a darsi una mossa: annàcati.
Ma il verbo annacàrsi, nel senso di movimento oscillatorio di chi se “la tira” un po’, si riferisce anche al modo di camminare, cui vengono attribuiti significati e messaggi di appartenenza a questo o a quel gruppo. E qui subentra il termine “annacamènto” con diverse sfumature. Annacàre è anche quel movimento tipico che avviene, per esempio, durante la processione dei misteri e in altre situazioni con obiettivi ogni volta diversi.
Entrare nel mondo dei dialetti, è un viaggio in un mondo affascinante, di una cultura così radicata e profonda, quella che non si studia a scuola ma che si custodisce in quel libro che la vita ha scritto facendo i conti con i bisogni. Questo viaggio ci regala, ogni giorno, emozionanti lezioni di alto livello a basso costo!