Quando nelle case non c’erano i servizi igienici e “u càntaru” faceva il suo bel “servizio in camera”
Oggi i nostri bagni sono dei salotti, nessuno osa chiamarli cessi come alcuni decenni fa. Oggi al massimo sono servizi igienici, a volte doppi servizi. Sono oggetto di arredo, hanno la stessa dignità degli altri locali della casa, con suppellettili, profumatori, mobili, specchio e tutto quanto serve a trasformare “un bisogno” in un piacere. Il bagno è diventato il luogo più intimo, quello della privacy, quello dove, appena aperti gli occhi, ci rapportiamo col mondo esterno, cellulare alla mano, finché le gambe non incominciano a formicolare!
Una volta non era così. Chi ha qualche annetto forse ha conosciuto “u càntaru”, dal greco kantharos, ovvero coppa, quel vaso da notte che si teneva sotto il letto, abbastanza alto da permetterne la seduta, slabbrato, di solito con due manici, coperto da un coperchio di legno oppure da una “pèzza-càntaru”, una sorta di strofinaccio riciclabile di tela morbida.
Non era vergogna, non era segno di povertà nè di sciatteria, era una situazione abbastanza comune, soprattutto nei paesi di campagna. Se ci pensiamo bene a quell’epoca non c’era neanche l’acqua nelle case. Poco alla volta tutto è rientrato e la vita è diventata più comoda, più pratica e più riservata!
Legato a questo oggetto sono nati parecchi modi di dire non certo di riguardo, diversi nel significato a seconda del tono usato e del contesto in cui si pronunciano. Possono essere confidenziali, ironici, sarcastici, denigratori, fino ad essere offensivi; mai comunque sono complimenti. Sono sicura che ognuno di noi ne conosce almeno un paio!