La manna: la preziosa e dolce linfa bianca siciliana estratta dalla corteccia dei frassini
La manna, sostanza che, secondo la Bibbia, fu miracolosamente inviata da Dio come cibo agli Israeliti nel deserto, venne giù dal cielo, viene ricavata dall’albero di frassino, ne è la linfa, il “sangue”, e diventa una “manna” – in questo senso sì – per l’economia locale della Sicilia. È un prodotto tipico siciliano come tale è riconosciuto e rientra nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali stilato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali
Il frassino da manna è coltivato in Sicilia, nel Parco delle Madonie, nelle zone di Castelbuono e Pollina, e parte ancora a Cefalù, in provincia di Palermo. Preferisce un clima mediterraneo, suoli argillosi o calcarei e un’ altitudine compresa fra i 200 e gli 800 metri sul livello del mare.
Nei secoli passati la manna si produceva ad ovest di Palermo in tutti i paesi costieri fino a Trapani, nelle Madonie e nello stesso territorio comunale di Palermo. I coltivatori che di generazione in generazione con le famiglie esercitavano questa attività artigianale, in dialetto siciliano venivano chiamati “Ntaccaluòru”.
La preziosa linfa, presidio slow food di memoria biblica, stava scomparendo. Il rilancio è cominciato nel 2015 quando è stato creato il consorzio Manna Madonita, accorpando quattro piccole cooperative per recuperare terreni abbandonati e formare i giovani al mestiere con chef stellati. E’ una coltura piuttosto delicata, è sufficiente un forte temporale a metà estate per compromettere tutto il raccolto della stagione. Verso la seconda o terza decade di luglio, i frassinicoltori (detti anche mannaroli o, in siciliano, ntaccaluori) verificano lo stato di maturazione delle piante facendo piccole incisioni sulla corteccia del frassino con una particolare roncola molto affilata e appuntita, detta mannalouru o cutiéddu à manna.
Nel primo anno si incide la parte più sporgente del fusto detta panza. Nel secondo anno si incide la parte opposta del fusto schina, nel terzo e quarto anno gli altri due lati scianchi. Dai solchi creati con la roncola nella corteccia sgorga un liquido ceruleo e amaro che, a contatto con l’aria, si rapprende rapidamente formando uno strato cristallino biancastro: la manna.
La tecnica d’estrazione tradizionale prevede tre tipologie di prodotti: manna da cannolo (la più pregiata). Manna raschiata che è la parte di linfa che si rapprende sul tronco; questa viene raschiata e costituisce la ‘manna in rottame, la qualità meno pregiata (raccolta con una particolare spatola detta “rrasùla” e poi disposta ad asciugare su appositi “asciucaturi”) Manna in sorte (raccolta in pale di fico d’india posti alla base del tronco).
Vi è, infine, la manna da lavorazione, la più sporca, che si raccoglie in piccole scodelle poste alle pendici dell’albero e che viene venduta al solo prezzo di 40 euro al chilo, alle case farmaceutiche o cosmetiche che la purificano e la riutilizzano.
Ogni albero in media produce 300 grammi a stagione, quindi all’anno, se la stagione è benevola. Per raccoglierla ed ottenere un prodotto migliore i mannaroli inseriscono sotto l’incisione una piccola lamina d’acciaio a cui viene legato un filo di nailon lungo il quale, nei giorni successivi, la manna gocciola formando piccole stalattiti, i cosiddetti ‘cannoli’ che, del tutto privi di impurità, sono quelli più pregiati sul mercato.
Numerosissimi sono gli utilizzi della manna, dalla pasticceria dove viene usata come dolcificante naturale, alla farmaceutica come ottimo blando purgante nonché detossinante, fino alla cosmesi, grazie al suo potere emolliente e cicatrizzante. La mannite (o D-mannitolo), il suo componente principale, è un alcool incolore, inodore e di sapore zuccherino che, noto con il nome di “zucchero di manna”, può essere tollerato anche da soggetti diabetici.