Si credeva scacciasse anche il malocchio. La “zabbàra”: la pianta siciliana dai mille usi
L’agave, in siciliano “zammàrra” o “zabbàra”, un termine di origine araba, è una pianta dalle larghe foglie spinose con un’alta infiorescenza di fiori gialli a grappoli. Pare che la pianta, sia stata introdotta in Sicilia al tempo della dominazione musulmana. La zabbàra veniva usata come recinzione a filari per delimitare i confini dei campi tra un proprietario e l’altro. “Zabbarata” infatti era chiamata la siepe di agavi che recingeva un campo. Gli appuntiti aculei e le grosse spine laterali delle foglie dell’agave servivano a scoraggiare, animali e uomini, a varcare i confini di una proprietà altrui, per pascolare o per raccogliere frutti.
È originaria del Sud America ed era inizialmente diffusa nelle zone tropicali, ma è arrivata nell’area Mediterranea, adattandosi perfettamente. In Sicilia cresce rigogliosa, è molto diffusa nelle specie “Agave americana” o “variegata”, con foglie a striature di colore giallognolo. Ma numerose sono le specie ormai in commercio, molto diffusa l’agave attenuata. Si tratta di una pianta affascinante diventata parte integrante del paesaggio e porta con sé leggende e peculiarità.
Come spesso accadeva nel passato con altre piante, anche la zabbara si prestava a varie forme di utilizzazione. Le foglie esterne della pianta, pulite delle spine, venivano fatte essiccare al sole e poi tagliate a strisce sottili in modo da formare, con le sue fibre, delle cordicelle chiamate “liame”, che venivano usate per tenere insieme covoni di grano, fascine di tralci di vite e di rami d’ulivo oltre che per fare reti, ceste, abiti, coperte, tappeti, borse e altri oggetti di uso quotidiano. Il fusto delle alte infiorescenze si adattava a molti usi, come recinzioni, canne da pesca o pali.
Le spine venivano utilizzate come ami o aghi per cucire. Gli indiani realizzavano impacchi, con la polpa di alcune specie, per pruriti, scottature, ferite, piaghe o contusioni. Le foglie di diverse specie, o il loro succo, era utilizzato fino agli anni ’90 in Messico come sapone. Con l’Agave, inoltre, sono prodotte diverse bevande come il Pulque, il Mezcal e la Tequila.
L’agave, sull’isola, è sempre stata avvolta da un alone di mistero. Rappresenta, infatti, un antidoto contro malocchio e jettatura. Giuseppe Pitrè, nel suo libro “Medicina popolare”, ricorda che è diffusa la tradizione che sia sufficiente toccare un dente dolente, purché non cariato, con un aculeo di “zabbàra” raccolto un venerdì di marzo prima che spunti il sole, messo a seccare e conservato con la massima cura, perché il dolore scompaia rapidamente.
La pianta si regala in segno di lunga amicizia e viene associata a sicurezza e longevità. E’ una pianta molto apprezzata nei giardini pubblici e privati. La si può trovare ovunque, nei viali, nelle ville, nei giardini, molto bella e affascinante per la sua imponente dimensione e soprattutto perché necessita di poche attenzioni, se non quelle di “girarle alla larga”.
A seconda della specie, l’Agave fiorisce dopo circa sette anni o anche più, in marzo o in aprile, con un unico fusto che può raggiungere anche i cinque metri di altezza. Mentre si alza dal cuore della pianta sembra un gigante asparago che raggiunge 5 metri di altezza in appena un mese.
Quando raggiunge il massimo dell’altezza cominciano a formarsi i rami alle cui estremità, con un forte profumo che sa di melone maturo, si aprono grappoli di fiori gialli e semi, “i figghiòla” che cadono poi, col seccare del fusto, e danno vita ad altre piante. Il fiore dell’Agave è un insieme di forza, fascino e mistero perché ha in sé la vita e la morte.
Quando fiorisce, l’agave, si mostra in tutta la sua magnificenza, ma proprio la fioritura è legata a un evento per essa molto triste. Fiorisce, infatti, una volta sola nella vita ed è proprio la fioritura a segnare la morte della pianta dell’Agave, depauperata da questo estremo e potente sforzo di dare alla luce un fiore così grande e maestoso. Per questo motivo l’agave viene associata al grande amore che provoca struggimento fino alla “morte”. Nella tradizione popolare si dice che l’agave si mantiene “schietta” (inteso come vergine) per molti anni, circa sette e che, un anno dopo essere “maritata”, muore.