Giulia Tofana, la fattucchiera palermitana che nel XVII secolo uccise più di 600 uomini
Si racconta che nella Palermo del XVII secolo vivesse una misteriosa fattucchiera che vendeva, in un tempo in cui non esisteva il divorzio, alle donne intrappolate in matrimoni “sbagliati”, un potente veleno, incolore, insapore e inodore da lei stessa preparato: l’acqua tofana.
Giulia Tofana, questo il suo nome, era figlia di Thofania d’Adamo, passata alla storia come l’inventrice di questa potente pozione e giustiziata a Palermo nel luglio del 1633 per aver avvelenato il marito Francesco. Alla morte della madre Giulia cominciò a produrre il veleno e a venderne in grande quantità, tanto da arricchirsi.
La ricetta per la preparazione del veleno non è nota con precisione, è certo però che ne bastavano alcune gocce per uccidere nel giro di una settimana, senza lasciare nessuna traccia e mantenendo roseo il colorito della persona defunta.
Intorno al 1640, in seguito alla morte di un ricco mercante, per mettere a tacere le voci di un suo coinvolgimento, Giulia Tofana fuggì trasferendosi a Roma. Una decina di anni più tardi, una donna decisa a liberarsi del marito, ignorando le prescrizioni di Giulia, gli somministrò un’intera boccetta di veleno, attirando molti sospetti. Giulia venne arrestata e sotto tortura confessò di aver venduto, solo a Roma, veleno sufficiente a uccidere circa 600 uomini.
Fu giustiziata a Campo de’ Fiori, nel 1659, insieme alla figlia, ad alcuni apprendisti, e ad alcune donne accusate di aver avvelenato i propri mariti con l’acqua tofana. Di questa storia, al limite tra racconto, leggenda e diceria, restano chiaramente tanti misteri.