Era in tutte le cucine delle nonne trapanesi. La “cuscusera”, la pentola forata dove cuoce il cous cous
Mia nonna prima e mia mamma dopo, le hanno sempre conservate con rispetto, quasi con venerazione. A casa di mia mamma ne custodiamo due, appartenute alla mia trisavola, facevano parte della dote che, in questa parte occidentale della Sicilia, accompagnava le giovani spose. Oggi trovano posto, in bella vista, nella “cristallera”, una vetrinetta dei primi del novecento, che fu di mia nonna e da lì escono, come oggetti sacri da riverire, ogni qualvolta, a casa nostra, si presenti un evento importante da festeggiare o quando abbiamo a pranzo un ospite speciale.
Quando, per motivi di lavoro, ho lasciato per alcuni anni la Sicilia, mio papà, parco di parole e di gesti espansivi, mi ha comprato, da portare con me, una couscoussiera che conservo ancora. Una sorta di legame, in un linguaggio non verbale ma di “sostanza”. E adesso che lui non c’è più ha un valore inestimabile per me. Ciò la dice lunga sul significato che ha, per noi della Sicilia Occidentale, il cous cous, il piatto della famiglia, il piatto delle grandi occasioni, tra i più significativi della nostra identità.
La couscoussiera altro non è che un recipiente di terracotta dal fondo forato, come uno scolapasta, che serve a favorire la cottura a vapore dei grani di semola sapientemente “incocciati” e che danno vita al cous cous. Già nel medioevo i popoli del Nordafrica usavano la couscoussiera per la cottura a vapore, taseksut in berbero, kiska:s in arabo o cuscusera in siciliano.
Questo recipiente, che si pone sopra la pentola nella quale viene messa l’acqua a bollire, deve aderire perfettamente ad essa e se l’incastro non è perfetto, bisogna porre rimedio avvolgendo intorno al bordo un canovaccio umido o un impasto di acqua e farina che, col calore si asciuga e chiude ermeticamente i due contenitori così da impedire la fuoriuscita del vapore dai lati.
Si sa, attraverso fonti accreditate, che il consumo del cous cous nasce sulle coste della Barbaria. Sulle coste italiane arriva nel 1777 con una testimonianza che risale al secolo successivo rilevata tra le pagine di un saggio di antropologia a cura di Giuseppe Pitré. In questo testo si parla degli usi e costumi del popolo siciliano. Qui si racconta di un fatto accaduto in occasione di un matrimonio a Trapani “[fu] regalata al parroco una pietanza chiamata cuscusu colla carne di porco, vivanda in Sicilia dai saraceni lasciata ”.
Oggi, nella provincia di Trapani il cous cous è il piatto per eccellenza, elaborato, conviviale che nel tempo ha preferito il pesce alla carne, non disdegnando di casa in casa, altre varianti tanto da essere oggetto di un festival ad esso dedicato e la couscoussiera rappresenta per noi un amuleto, più che un oggetto, più che un tegame, un simbolo. E’ un’amica, una di casa e anche là dove è stata sostituita da più moderni contenitori in acciaio, fa sempre bella mostra di sè nelle nostre cucine, magari appesa a una parete, a ricordarci sempre chi siamo e da dove veniamo!
Basta visitare il Museo Mirabile, siro in c.da Fossarunza B n..198 – Marsala, per prenderne materialmente visione oltre ad acquisire informazioni storiche della tradizione! Grazie!