Archeologia

Ha più di 1000 anni di storia ed è ancora in piedi. E’ siciliano uno dei trenta ponti più belli d’Italia

Nonostante il nome sia Ponte “dei Saraceni”, in questa costruzione non v’è alcun richiamo ai saraceni ma, tale appellativo, sarebbe verosimilmente dovuto al fiume Saracena o Saraceno che nasce dai Nebrodi ed è un affluente del Simeto. E’ un ponte di pietra detto anche di Carcaci o di Centuripe perché sorge nelle prossimità dei due omonimi borghi e unisce le due sponde del Simeto.

Siamo nell’entroterra siciliano tra le province di Catania e di Enna, in territorio di Arano. L’attuale o, meglio, ciò che resta del ponte originario, è di sicura origine normanna e lo testimonia l’arco centrale di forma ogivale, tipica del periodo normanno. Ai lati dell’arco centrale, gli altri più piccoli, in pietra, sono frutto di un recupero e restauro dei ponti diroccati a seguito delle abbondanti piogge del 1948 che causarono lo straripamento del Simeto.

Ma resta pressoché certa l’origine romana del sottostante ponte in muratura, risalente al I- II secolo dopo Cristo, preesistente al Ponte dei Saraceni, ricostruito e modificato nel XII secolo per mano dei Normanni. Collega i due comuni di Adrano e di Centuripe in quel punto chiamato Passo del Pecoraio. Riguardo a questo stravagante nome, assegnato al passo, non mancano leggende dal curioso titolo “Il salto del pecoraio” che, la fantasia popolare, generosa e fertile, ha saputo imbastire.

Si narra infatti, e qui le soap opere moderne non hanno di che vantarsi, che, un pastore, vedendo la sua bella dall’altra parte del fiume, si avvicinasse ai due argini, i più vicini possibile e, con una rincorsa dettata dalla frenetica ansia di abbracciare la sua bella, fosse stato capace di librarsi, quasi in volo, per raggiungerla, evitando di percorrere la via più lunga e quindi salire sul ponte. Dalla versione romantica al thriller il passo è stato breve. L’altra versione della leggenda vuole invece che il pastore riuscisse, con la stessa perizia, a liberarsi delle guardie che lo inseguivano.

Obiettivo primario del ponte era sicuramente mettere in collegamento la città di Troina e Catania. Superato il Simeto la strada continuava costeggiando il fiume stesso. Dalla presenza dei dongioni, ovvero delle torri difensive, adibite anche a residenza per la nobiltà e rifugi estremi in caso di attacchi (paragonabile alla fortificazione nota come Maschio o anche “mastio”), si intuisce quanto importante fosse quella via e quanto fosse militarmente controllata.

Purtroppo il ponte subì nel tempo, oltre a distruzioni anche abbandoni. Solo l’arcata maggiore, quella centrale ad arco acuto, rimane pressocchè integra; altre furono ricostruite in seguito, differenziandosi dalle originarie.

Il ponte scavalca un tratto delle forre laviche e, dal 2000, fa parte del  Sito di Interesse Comunitario (SIC) che prende il nome di “Forre laviche del Simeto”, particolari gole, di natura basaltica, tra i 5 e i 15 metri di altezza, scavate nei millenni dal fiume sulle colate laviche.

Il 22 gennaio del 2015, “la Repubblica.it” definisce il Ponte dei Saraceni uno dei trenta ponti più belli d’Italia.

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