“U buttigghiatu”: “a sarsa ri casa”, un rito che si ripete in ogni estate, sempre uguale
Una risorsa per la famiglia, un beneficio per l'ambiente
Siamo in piena estate. Il sole illumina e accarezza le campagne, si posa sulle piante e porta a maturazione i bellissimi frutti della stagione. Sfiora gli ortaggi, rendendoli ricchi di quelle sostanze che solo acqua e sole portano alla massima espressione. Il pomodoro rosseggia sulle piante, appesantisce i rami. Amorevolmente il contadino sistema, lega, appoggia perché riceva il massimo dalla natura senza rovinare il vestito bello della festa. E la loro festa arriva presto, sono pronti per la sfilata.
Sulle bancarelle dei mercati e nei supermercati fanno bella mostra di sé cassette colme di quell’oro rosso di ogni qualità, ogni forma e grandezza. Pomodoro per insalata, pomodoro per fare il sugo, pomodoro per fare “I pennuli”. Beato chi conosce un contadino o ha addirittura una produzione propria. Così può avere il pomodoro maturo, rosso, turgido, pieno di “carne” “tuttu sarsa”, quello giusto per fare il sugo da conservare per tutto l’anno.
L’estate è la stagione in cui viene preparato il cosiddetto “buttigghiatu”, ovvero la conserva di passata di pomodoro. Una vera e propria tradizione, ancora molto radicata e diffusa in molte famiglie del sud. Non so voi ma io sono cresciuto assistendo alla preparazione di tonnellate di pomodori.
Un lavoro senza dubbio faticoso, che inizia all’alba e termina a tarda sera. Un lavoro reso unico dall’atmosfera di convivialità che lo circonda, un’occasione per riunire l’intera famiglia, vicini di casa e amici. La mia nonna paterna utilizzava una grande veranda, aperta sul giardino. Qui troneggiava una lunga tavola ricoperta da coloratissime cerate. Su questa adagiava delle grandi bacinelle colme d’acqua che usava per lavare le bottiglie in vetro messe da parte durante tutto l’arco dell’anno. La stessa tavola serviva poi come base d’appoggio per l’imbottigliamento. Per terra si trovavano dei grandi teli sopra i quali giacevano non so quanti pomodori, tantissimi. In giardino veniva acceso il fuoco sopra il quale continuamente, in un grande pentolone, bollivano i pomodori prima di essere macinati.
Anche a noi bambini veniva affidato un compito. Il mio era quello di introdurre una fogliolina di basilico nel collo di ogni bottiglia prima che questa venisse sigillata. Ancora oggi se chiudo gli occhi mi sembra di rivivere quelle scene. Sento lo schiamazzo di noi bambini che correvamo in lungo e in largo. Ci sembrava una festa. C’era l’odore del fuoco e del pomodoro che cuoceva. Il sapore acre e dolciastro dei pomodori appena bolliti, quel lievissimo e fastidioso bruciore dato dal succo che al sole mi irritava la pelle.
I miei sono solo ricordi. In Sicilia e nel sud Italia, sono ancora tantissime le famiglie che si riuniscono e dedicano il fine settimana alla preparazione della conserva di pomodoro. Quali sono i vantaggi? Di sicuro si risparmia, si guadagna in qualità. “Sai soccu mangi” – ripeteva la mia nonna. E ci guadagna pure l’ambiente, perché si riescono a riciclare centinaia di bottiglie e barattoli di vetro.
La giornata di lavoro ci conclude col mettere a bollire le bottiglie. Noi, ricordo, che utilizzavamo un grande barile in ferro aperto su un lato. Un duro lavoro, quello della produzione del “buttigghiatu”. In grado di regalare una bella scorta capace di riempiere la dispensa. Sarsa per tutto l’inverno! E immancabili le bottiglie in valigia a chi si trova lontano da casa. Una piccola dose di tradizione e di estate siciliana da gustare durante tutto l’arco dell’anno, ovunque ti trovi. Io le paragono un po’ alle bottiglie che galleggiano in mare e al cui interno è racchiuso un messaggio di speranza.