“A mafaradda” siciliana dove, da secoli, si crea l’unione di granelli di semola per fare il cous cous
La mafaradda è un contenitore di terracotta verniciata, l’antico e tradizionale piatto largo e basso, a pareti svasate, utilizzato per la lavorazione del famosissimo Cous Cous. La semola a grana grossa viene ”ncocciata” in questo recipiente con un deciso movimento del polso, tenendo le dita della mano leggermente allargate e il palmo sollevato, girando sempre nello stesso verso.
La semola, con l’aggiunta di poca acqua e sale, deve assumere, attraverso questo movimento rotatorio, la dimensione di piccole palline, non più grandi di una capocchia di spillo. Il termine “incocciare”, significa aggregare e vuole simboleggiare, nel rito e nelle origini soprattutto, l’unione dei popoli tanto che il Cous cous è diventato occasione di festival ad esso dedicati.
Durante queste feste si cimentano paesi e cittadini di diversa provenienza con preparazioni, le più svariate e curiose che ne testimoniano le origini e la tradizione. Queste occasioni richiamano turisti da ogni dove a rendere ancora più significativo questo piatto, che ha in sé il seme della condivisione e dell’accoglienza.
Nel trapanese il cous cous si è votato alla zuppa di pesce rendendolo famoso in tutto il mondo, pari per preparazione e bontà alle altre forme di condimento che prevedono carni, verdure, spezie e tutto ciò che è buono e che “fa buono”.
Non c’è famiglia nel trapanese che non ha in casa la mafaradda; se è quella della mamma ancora meglio perché in essa si perpetuano i ricordi e si ritrovano i profumi e i sapori della famiglia. Una volta “ncocciato”, il cous cous viene cotto a vapore nella tradizionale couscoussiera, recipiente di terracotta smaltato e bucherellato, dopo aver sigillato con la “cuddura” il punto di unione fra la pentola che sta sotto e la “cuscusiera”. Ciò allo scopo di scongiurare la fuoriuscita del vapore dai lati perché, per la buona riuscita della cottura a vapore, questo deve uscire solo dall’alto. La “cuddura” si prepara con un impasto di acqua e farina e così si uniscono i due recipienti posti “a pignatta cuscus”.
Trascorso il tempo giusto per la cottura, il cous cous ritorna nella mafaradda e condito come da tradizione. Nel caso della tradizione trapanese con il brodo della zuppa di pesce e pezzetti di pesce pulito e ben spinato. Dopo di che viene coperto con una tovaglia e magari con una coperta perché deve “riposare” al caldo e più si amalgama al suo condimento più è buono. Sempre protagonista la mafaradda che nelle tradizioni veniva posta al centro della tavola e i commensali si servivano aggiungendo altro brodo o altro condimento. Oggi il cous cous viene servito come un piatto normale con accanto la zuppiera o il piatto della carne o verdure.
Una curiosità: le vecchie case che avevano le camere sopra la cucina si diceva fossero “a pignatta cuscus”. Altra curiosità, per fortuna scomparsa: saper fare il cous cous era una prova d’esame per le future spose; faceva parte della dote da portare al marito. Molti matrimoni saltavano per tale motivo. Oggi ci sarebbero troppe nubili!