Makari fa di nuovo il pieno d’ascolti. 3.982.000 spettatori per la puntata dedicata a Gibellina
Gibellina e la sua triste storia sono stati al centro del secondo episodio di Makari, dal titolo “La città perfetta“, andato in onda ieri sera in prima serata su RaiUno. Il secondo appuntamento della serie è stato visto da 3.982.000 spettatori con il 22.6% di share, piazzandosi al primo posto tra i programmi visti in tv.
La trama
Saverio viene invitato a fare da moderatore a un’importante conferenza a Gibellina, la città distrutta dal terremoto che nel 1968 colpì la valle del Belìce. Qualcosa però va storto e l’animata conferenza viene bruscamente interrotta. L’organizzatore, Leone Curatolo, viene trovato ucciso nel suo laboratorio di scultura e Saverio e Piccionello si ritrovano a indagare per risolvere l’ennesimo omicidio che affonda le sue radici proprio nella lontana storia del terremoto, dalla quale sembrano riaffiorare vecchi rancori.
Il terremoto del Belìce
Nella notte fra il 14 e il 15 gennaio del 1968 la Valle del Belìce, terra di contadini nell’ovest della Sicilia tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento fu scossa nelle viscere da uno dei più gravi e devastanti terremoti italiani del Secondo dopoguerra. Le scosse iniziarono a metà giornata del 14 gennaio e continuarono per diversi giorni: la più forte fu quella della notte del 15 gennaio, alle 3.01, un tremendo sisma di magnitudo 6.1 rase al suolo interi paesi. A questa seguirono altre 16 scosse. Lo sciame sismico andò avanti fino al febbraio del 1969. 296 persone persero la vita e in centomila si ritrovarono d’un tratto senza una casa.
Le macerie di Gibellina furono trasformate in un monumento da Alberto Burri, che le ricoprì di cemento mantenendo le linee di quelle che un tempo erano le strade del paese. Una grande sudario di cemento bianco che ricopre e racconta le storie della vecchia Gibellina.
Una rinascita lenta e difficile che trovò nell’arte contemporanea un futuro alternativo alla povertà e alla distruzione. Nel Belìce, nel 1976 ancora 47mila persone abitavano nelle baracche allestite dopo il terremoto, le ultime rimaste furono demolite solo nel 2006. Molti abbandonarono la valle del Belìce per sempre. Paesi in cui già c’era una grande emigrazione per via delle scarse possibilità economiche, si spopolarono ancora di più.