Specchi coperti, porte aperte e sedie vuote: antiche usanze che “accompagnavano” i funerali
In passato era raro si morisse in ospedale per cui tutti i riti che accompagnavano la dipartita del congiunto si svolgevano a casa. Ed erano i parenti più stretti che si adoperavano affinché al proprio caro fossero riservate tutte le attenzioni del caso. Dalla vestizione, alla posizione della bara, alla sistemazione, accanto al defunto di oggetti cari che potessero tornare utili nell’aldilà, all’allestimento della camera.
Credenza molto antica, che ha oltrepassato i nostri confini, quella che fosse necessario ricoprire, con dei drappi, tutti gli specchi presenti nella stanza. Secondo la nostra cultura popolare si riteneva che, gli specchi, data la loro natura di raddoppiare ciò che si specchia in essi, catturassero l’anima del morto nell’immagine riflessa, impedendo al defunto di andarsene nell’aldilà oppure, perchè questi, smarrito nel vedersi riflesso, non trovasse la via d’uscita.
Addirittura si tenevano aperte porte e finestre per impedire che l’anima, non trovando l’uscita, rimanesse intrappolata in casa. E ancora, a testimonianza del credo che ci fosse una vita parallela a quella terrena, si lasciavano sedie vuote, intorno alla bara del defunto, convinti che anime di altri defunti venissero ad accoglierne l’anima.
La veglia al caro estinto era accompagnata dalle “reputatrici”, donne pagate, per piangere e decantare, con gesti e atteggiamenti da melodramma, le doti del caro estinto, magari a loro sconosciuto, durava, talvolta, anche tre giorni, per permettere la visita dei parenti che abitavano lontano.
Prima che la bara del familiare venisse chiusa, a volte si tagliava una ciocca di capelli che, messi in medaglioli al collo, spesso delle madri o delle vedove, servivano di consolazione per avere accanto e lasciarsi proteggere dall’amato scomparso.
In questi giorni si assisteva, in molti paesi ancora è in uso, alla tradizione del “cunsulu”. Questa, diffusa in tutti i paesi del mezzogiorno risente dell’influsso arabo e consiste nell’accudire i parenti del defunto provvedendo a un vero e proprio sostentamento gastronomico, dal caffè, alla colazione, al pasto caldo. Il tutto per alleviare questo triste momento in cui non si ha voglia nè tempo di pensare a preparare da mangiare. “Cunsulatu” che arrivava a durare nove giorni, i giorni del lutto “stretto”
Erano e ancora sono soprattutto i vicini di casa, le persone più legate affettivamente ai parenti del defunto che, con questa affascinante tradizione, si rendevano protagonisti nel “consolare”, “portare conforto” in questi giorni di lutto. Un gesto di civiltà in un momento così triste della vita che durava dai tre ai cinque giorni successivi al triste evento e talvolta si accompagnava a gesti di solidarietà e aiuto economico per le famiglie in difficoltà.
Si rispettava in pieno il rito dei giorni di lutto, del tempo delle visite, della tradizione dei vestiti neri e dei simboli del lutto, della durata dello stesso a seconda del grado di parentela col defunto. Per le vedove, il nero sarebbe stato di rigore per tutta la vita. Non ne erano esentati neanche i bambini.