In Sicilia è chiamata “mappina”! Origini e curiosità di una parola con più di 3000 anni di storia
Tutte le volte che ci si accosta a un oggetto di uso comune, di antica tradizione, che nel nome evoca qualcosa, è storia. Neanche la “mappina” fa eccezione e sfugge a questa legge. Per trovare le origini del nome “mappina” dobbiamo risalire a tempi molto lontani, quando, secondo Quintiliano, che chiama in causa i Fenici, i grandi navigatori che, più di 3000 anni fa, si avventuravano per mari sconosciuti, tracciavano rotte su pezzi di stoffa, in assenza di una cartografia nautica. Erano le loro mappe. Anche tanti altri documenti antichi e persino le proprietà terriere venivano rappresentate su pezzi di stoffa.
Ma il passaggio da mappa a “mappina”, nel significato odierno è un po’ più articolato. Aggiungendo il suffisso ina si è voluto indicare un oggetto più semplice, più vicino a tutti, di uso familiare. Un pezzo di stoffa più piccolo, una piccola mappa che, all’inizio, era una salvietta, una tovaglietta personale che, nell’antica Roma, sembra, gli invitati a casa di qualcuno, portassero con sè, utile per riportare a casa i resti del pranzo o per asciugarsi le mani.
Il suo uso rimase nell’ambito della cucina ma come “strofinaccio” per mille usi; dall’asciugarsi le mani all’asciugare le stoviglie, spesso vero simbolo d’arredo, ricamato, dipinto, souvenir, da esporre. Ma chiamarlo strofinaccio ai siciliani non piace, tanto da preferirgli il termine mappina.
Perchè lo strofinaccio, o meglio ancora “u cannavazzu”, è relegato più in basso, per pulire i pavimenti, destinato ad un uso “inferiore” a quello della nobile “mappina”. Inoltre lo, strofinaccio, spesso, viene usato con un’accezione quasi dispregiativa. Dire a qualcuno “si nu cannavàzzu” equivale a dirgli sei persona che viene meno alla parola data, oppure cambi idea facilmente, un voltagabbana insomma. Anche se in tono figurato è pur sempre offensivo.