Era la vecchia e cara lavatrice a zero consumi delle nostre nonne: “a Pila ri petra”
C’era una volta, in ogni casa, “a pila ri petra” o di marmo come a Custonaci per la presenza delle cave. Dove si poteva, nelle case rurali, nelle ville patronali, era sistemata fuori, in cortile, ed era già una conquista perché, con l’avvento dell’acqua che arrivava direttamente nelle condutture e ai rubinetti, le donne avevano smesso di andare a lavare i panni nei vecchi lavatoi e ancora prima sugli argini dei fiumi. Lavori umili, pesanti, faticosi, poco gratificanti che, chi poteva, demandava a donne prese a servizio, le lavandaie. Termine che, nell’immaginario collettivo, suonerà nel tempo quasi come dispregiativo.
La vecchia cara pila aveva mille funzioni: “ammoddu”, lavaggi di tappeti o indumenti di lavoro molto sporchi. Accessorio importante per strofinare i panni era ed è ancora, “u stricaturi” in pietra incorporato o ondulato in legno, il caro “sapuni moddru e sapuni ruru” (oggi sapone di marsiglia) e olio di gomito. La palestra era assicurata. Bicipiti e pettorali scolpiti!
Aveva anche subito trasformazioni nel tempo, si era resa più leggera, magari in legno rivestita di lamiera oppure si era adattata ed aveva accettato l’arrivo delle vasche da bagno negli appartamenti che all’occorrenza, inserivano “u stricaturi” e facevano la stessa funzione!
Le chat di gruppo si svolgevano mentre si stendevano i panni ad asciugare, nei cortili o nelle terrazze, “a lastracu”, dove bastoni con la forcella sostenevano corde ritorte ben tirate che accoglievano lenzuola bianche/cerulee, “azzolate” che svolazzavano al vento che asciugava, “a suli e sirenu” che toglievano ogni macchia. Ricordo la discrezione di mia mamma che metteva gli indumenti intimi all’interno perché non “dobbiamo dare spettacolo alla gente che passa”. Mia mamma, ricordo, saliva, più volte, in terrazza per cambiare verso ai panni, seguire il sole, per riuscire ad asciugare in giornata e la sera stanca diceva: -“Oggi ho combattuto cu lastracu”. E io la immaginavo come Don Chisciotte tra le lenzuola, povera mamma mia! Pulizia, fatica e pudore.
Poi arrivò la lavatrice e solo poche famiglie potevano permettersela. La prima lavatrice dei miei ricordi era come un frullatore, di una sola, unica, marca. Si caricava dall’alto e non servivano studi profondi per avviarla. Bastava caricarla, chiudere il coperchio e pigiare un bottone. Andava a corrente però! “Benedetta lavatrice” – hanno detto le donne; poi seguì “benedetto frigorifero” e tante altre lodi al dio contatore.
La lavasciuga negli ultimi decenni è stata la manna. Le donne furono liberate dall’incombenza di stendere e sorsero varie agenzie a proporti contratti sempre più vantaggiosi (?) per il consumo elettrico.
Oggi arrivano bollette salate, salatissime, difficili da interpretare, difficili da sostenere, impossibili da pagare e mi sa che “cara pila mia”, come cantava Bruno Lauzi, “ritornerai, e lo so ritornerai!”
Mi piacerebbe averne una di pila in Tufo antica.
Nelle case di città, ancora agli inizi degli anni Sessanta, la pila era un elemento fondamentale; ci si montava su lo “stricaturi” – termine tecnico intraducibile; e infatti non lo si trova nel “Vocabolario siciliano-italiano” del Mortillaro – in legno al momento opportuno. Ma fino al termine di quel decennio nella “bassa” padana molte donne andavano a lavare i panni al fiume.
Pila Arenaria in Tufo antico: è in Vendita???