“A Putia”: la bottega dove si comprava, si faceva “crirenza” e ci si fermava a socializzare
“Cara putìa ti scrivo, così mi rilasso un po’…!” Ecco così si potrebbe cominciare una lettera (nel ricordo del grande Lucio), con uno sguardo nostalgico a quel tessuto sociale che si è, per la maggior parte, vaporizzato in anonimi e affollati centri commerciali dove, come automi, ciondolano, soprattutto nelle domeniche e festività comandate, annoiati giovani, famiglie con pargoli scorrazzanti per i corridoi di luoghi chiusi e climatizzati, dove la musica anestetizzante di sottofondo e le illuminazioni accattivanti sembra vogliano rendere tutto più necessario, più conveniente, più figo!
Era il negozietto sotto casa dove incontravi e ti soffermavi a fare due chiacchiere con chi conoscevi già o che incontravi lì per caso. Dove entravi e salutavi; “a putiara” la conoscevi da sempre, lei ti “aveva visto nascere”; con lei o con lui, nel caso fosse “u putiaru”, si era istaurato un rapporto di fiducia tanto che compravi anche “a crirenza”, in quella modalità del “pagherò” con fiducia e il credito veniva annotato prontamente sul libriccino dalla copertina nera e dall’inconfondibile profilo rosso. E quando uscivi dalla “putia” non mancava l’“arrivederci e buona giornata”. E l’arrivederci arrivava presto perché la spesa, comoda e fresca, era giornaliera!
Ma per fortuna, scomparsa la vecchia putia dalle città medio grandi, assorbita dai grossi supermercati o dai centri commerciali, nelle cittadine e nelle periferie, il testimone è passato a sobrie ed eleganti botteghe o negozi in franchising, moderni e fornitissimi di tutto o specializzati. Negozi che mettono in moto il commercio e offrono i prodotti del territorio riuscendo a coniugare i bisogni della popolazione con l’aria di servizio, ma familiare.
Storia della putìa
“A putìa” (termine di origine, greco-latina, derivante da apotheka, diventato poi bottega, che in effetti era un magazzino, un deposito e ancora oggi lo troviamo, con un approccio quasi nostalgico, nelle insegne di tante farmacie, nell’intera area mediterranea) era un’istituzione. Era quel piccolo negozio che stava sotto casa; inizialmente quella “du scarpàru, du custureri, du varveri”. Era anche la bottega dell’artigiano ed andare a bottega era andare a imparare un mestiere.
Fino al Rinascimento rientrava tra le botteghe artigiane anche il laboratorio di artisti e scultori, come il nostro Antonello da Messina che aveva la sua “putia” proprio sotto casa. Ancora oggi, richiamando il concetto di “putia-bottega” come luogo in cui si apprendevano arti e mestieri, quando si scoprono opere di artisti sconosciuti si usa richiamarne l’appartenenza a certa bottega di autori noti.
Dopo le botteghe artigiane si diffusero i “putìi” come piccoli esercizi commerciali che vendevano prodotti alimentari, frutta e verdura spesso di produzione propria. Sempre sotto casa tanto che il detto “tuttu casa e putia” non è nato a caso anche se nel tempo ha assunto altre accezioni, a volte anche ironiche e un po’ beffarde.
Nel periodo dell’ultima guerra e poi fino agli anni 60 i miei genitori avevano la ‘putia’ . C’era fame e miseria, la gente comprava lo stretto necessario a credito e pagava quando poteva.I pescatori in estate ( allora il pesce era difficile venderlo),i contadini quando potevano. C’era fame e pochi soldi.Nel ricordare mi
viene da piangere
Ricordi del passato non era sotto casa ma vicino il titolare era un professore ai tempi non c’era il reddito di cittadinanza se volevi vivere dovevi lavorare è lui lavorava per mantenere la famiglia quando acquistavo la mortadella ero lì ad ammirarlo non aveva l’affettatrice ma un lungo coltello era un professore di fatto tutte le fette erano uguali
Un saluto dalla Francia, grazie mille per questi bei ricordi di un passato cosi lontano ma anche tanto presente per chi ha gia alle spalle tanti ricordi di un tempo ormai scomparso ma tanto vivo e pungente nella memoria. Nostalgia…