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Conosciamo la vera storia di “Vitti ‘na crozza”? Eppure tutti la cantiamo, allegri, a squarciagola

Quando ti trovi in compagnia succede che si cominci a cantare “Vitti ‘na crozza”. Credi di cantare un motivetto allegro e trullallero e trullallà. Scopri invece che la crozza non è una croce, né la cruccia per i vestiti né, tanto meno, la più gettonata stampella. Che il cannone non è quello strumento cilindrico di natura bellica, addetto a sparare cannonate a distanza, ma scopri che è la bocca della miniera di zolfo e che questa è una triste storia siciliana che parla di miseria, fatica, morte e ingiustizia cristiana.

Parla di una vita passata al buio, nelle profondità della terra. Ne è testimonianza la famosa e tristissima, quanto commovente, novella “Ciàula scopre la luna” di Luigi Pirandello. I minatori vi morivano e quando ciò avveniva rimanevano lì, senza il conforto di una sepoltura, di una benedizione, senza neanche “un tocco di campane”.

La crozza in questo caso è il teschio del minatore morto che, davanti all’apertura della miniera, racconta la sua triste storia facendosi portavoce di una protesta che rivendica la pietà cristiana in un periodo storico in cui zolfo e sottosuolo erano simboli e dimora del demonio.

A farci conoscere la vera storia della famosa canzone è Sara Favarò, artista siciliana, scrittrice, giornalista e cantante, autrice del libro – Storia di Vitti ‘na crozza (cui attingiamo per le notizie riportate) che impiegò anni di studio e di ricerca per giungere al vero significato della più popolare canzone siciliana. Non c’è allegria nel suo ritornello, al contrario c’è la morte!

Torniamo indietro nel tempo. Questo testo di autore ignoto, di cui non si conosce neanche la data, venne affidato, dal regista Pietro Germi, al compositore Franco Li Causi perché gli accostasse una melodia che doveva fare da colonna sonora al film “Il cammino della speranza”. Il regista aveva conosciuto il testo da un minatore di Favara. Il testo subì più rielaborazioni nel tempo e si inserì, negli anni 70, tra i canti popolari portati in giro da gruppi folkloristici. Solo nel 1979 fu riconosciuta a Franco Li Causi la paternità del brano.

Qui il testo originale. Confesso che è difficile leggerlo senza accennare alla melodia. Si, adesso che ne conosco la storia la canto con un tono più sommesso, intimo, quasi di raccoglimento e di preghiera! Non si finisce mai di imparare.

Vitti ‘na crozza

Vitti na crozza supra nu cannuni
fui curiuso e ci vossi spiare
idda m’arrispunniu cu gran duluri
murivi senza un tocco di campani

si nni eru si nni eru li me anni
si nni eru si nni eru un sacciu unni
ora ca sugnu vecchio di ottantanni
chiamu la vita e morti m’arrispunni

cunzatimi cunzatimi lu me letto
ca di li vermi su manciatu tuttu
si nun lu scuntu cca lume peccatu
lu scuntu allautra vita a chiantu ruttu

C’e’ nu giardinu ammezu di lu mari,
tuttu ntssutu di aranci e ciuri.
Tutti l’acceddi cci vannu a cantari,
puru i sireni cci fannu all’amuri.

7 Commenti

  1. Ero ignara di tutto ciò ,eppure sentivo che c’era un significato di morte in questo dolcissimo brano. Grazie per averci aggiornati di tutta la storia.

  2. Sono d’accordo con il commento di F. Arcelichi, perché ha più significato rispetto al zolfataro o al milite. Sarebbe opportuno riscrivere il testo sull’anarchico/ateo Saro Cruzzato.

  3. Altra spiegazione, secondo me, più calzante è quella che la canzone si riferisca al lamento dell’anarchico e ateo Saro Cruzzato che, dialogando con il suo interlocutore, partendo dal rimpianto per “muriri senza tocco de campane”, continua chiedendo che gli “cunzassero lu letto” ca “si lu peccatu” non lo scunta adesso” etc. etc…
    “Vitti Saro Cruzzato a lu cantone
    io ca sò curiuso ci vo a parlari…
    etc…”

  4. Ma non è stata mai una canzone allegra. La sua simbologia è legata alla miseria alla povertà alla arretratezza sociale.

  5. Canzone stupenda …ricca di pathos. Un appunto: la “crozza” è “supra nu cantuni” non su un cannone

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