45 anni fa veniva ucciso a Cinisi Peppino Impastato, eroe Siciliano della lotta alla mafia
Giornalista, attivista e poeta. Ragazzo pulito, integerrimo, cresciuto in un ambiente e in una famiglia che faceva a pugni con il suo ideale di legalità, trasparenza e onestà. Non poteva, non voleva tacere e soggiacere. Lui urlava con tutti i mezzi che aveva e che poteva usare; non aveva paura. ma lo sapeva che le sue urla arrivavano e disturbavano. Le sue denunce contro le attività di cosa nostra furono così forti e intense, da portare al suo assassinio, il 9 maggio 1978.
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà” – Peppino Impastato
Appartenente a una famiglia mafiosa, decise di ribellarsi protestando fermamente contro la mafia. Il padre lo cacciò di casa, e lui si dedicò anima e corpo ad un’attività politico-culturale anti-mafiosa. Nel 1976 fondò il gruppo culturale “Musica e cultura” e anche “Radio Aut”, una radio libera autofinanziata, che fu il suo megafono dal quale urlò e denunciò i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini. Il suo disprezzo e condanna erano rivolti soprattutto al capomafia Gaetano Badalamenti che Peppino, nel corso della trasmissione satirica “Onda pazza“, chiamò “Tano seduto“.
Nel 1978 si candidò nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, ma la cosa era troppo forte e indigesta per la malavita locale e, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, proprio durante la campagna elettorale, venne assassinato. La beffa è stata quella di far passare per suicidio un’azione becera e crudele. Una morte brutale. Quello stesso giorno venne ritrovato il cadavere del presidente della DC Aldo Moro e la sua morte passò, quasi, in secondo piano.
Ma quando si tennero le elezioni, i cittadini di Cinisi votarono lo stesso il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale. Una beffa per la mafia, un urlo per la giustizia, un monito per chi voleva far passare per suicidio un omicidio così tremendo.
Solo nei primi anni duemila, mandanti ed esecutori mafiosi dell’omicidio furono condannati all’ergastolo.
“E’ solo un mafioso, uno dei tanti, è nostro padre, mio padre, la mia famiglia, il mio paese … ma io voglio fottermene, io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda, io voglio urlare!”.
(Da “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, il capolavoro che racconta la lotta di Peppino Impastato contro la mafia).